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Change hold habitus: the modification of the lifestyle

di Emanuela Grandi & Alessia Anna Cantarella

(Communications 25° Congress of the International Association of Individual Psychology: Separation, Trauma, Developments – Vienna 2011)

Con questa breve relazione vogliamo porre alla vostra attenzione alcune riflessioni sull’importanza che la psicoterapia riveste nell’aiutare il cliente a cogliere quali aspetti del suo carattere e delle sue modalità non siano funzionali per la sua vita ed il suo lavoro nonchè a lavorare sugli stessi in maniera critica, in modo da indurlo ad abbandonare schemi di pensiero e di comportamento arcaici, ad abbandonare quindi le proprie finzioni.

Sappiamo che i comportamenti disfunzionali si strutturano in “stile” (stile di vita) che a sua volta si traduce in abitudini, automatismi, ripetizioni sempre più radicate fino a divenire inconsce.    Lo stile di vita, definibile come l’insieme di idee, pensieri, giudizi, atteggiamenti, comportamenti e azioni che caratterizzano il modo di essere di ogni singolo individuo, può assumere in sé, contemporaneamente, aspetti statici e aspetti dinamici. Si forma in un lungo arco temporale e si cristallizza parzialmente in abitudini e comportamenti automatici; d’altra parte, però, esso è perennemente in evoluzione e cambiamento.

“Ciascuno di noi è la sua storia” (L. G. Grandi): dunque che lo stile di vita è collegato ad aspetti genetici, biologici e costituzionali nonchè alle esperienze vissute, al clima affettivo, all’educazione ricevuta, al contesto sociale in cui si nasce e si cresce.

Mosak individua due aspetti costitutivi dello stile di vita parlando di “modus operandi” che si traduce in azioni e comportamenti visibili e reali; e “modus vivendi” che può risultare più sommerso e più nascosto, talvolta sconosciuto all’individuo stesso, che significa immagine di sé, del mondo e filosofia di vita.  Tutto ciò si collega all’area dei vissuti, della lettura che il soggetto mette in opera rispetto agli eventi e alla realtà. Da questo tipo di lettura che dipendono le risposte comportamentali e la sottostante interpretazione del reale che non risultano rigide e immutabili nel singolo soggetto, bensì possono cambiare al confluire di più variabili come il contesto ambientale, quello sociale e lo stato emotivo-affettivo del momento.

Detto questo, risulta comprensibile il fatto che nella psicoterapia analitica ampio spazio venga dedicato al rilevamento e alla rielaborazione dello stile di vita. In una prospettiva “processuale” del lavoro clinico l’analisi-ricostruzione dello stile di vita e l’analisi degli atteggiamenti rappresentano due fasi cruciali e imprescindibili di qualsiasi trattamento.

Per portare il paziente a “destrutturare” e “ricostruire” il proprio stile, in direzione di un maggiore equilibrio, rendendolo più propenso a scelte sane e non patologiche, il terapeuta deve indagare i nuclei più significativi della sua storia fino ad arrivare ad una scomposizione del suo stile di vita: la costellazione familiare, che identifica i profili psicologici delle figure significative e le loro modalità di agire ed interagire; l’ambiente dell’infanzia, i primi ricordi, cartina di tornasole per identificare le linee teologiche dello stile di vita; le fantasie diurne che danno indicazioni sulle mete coscientemente o inconsciamente perseguite; i sogni notturni; il funzionamento nei compiti vitali che offre dati importanti per comprendere come il paziente si sta muovendo nel mondo; il grado di sviluppo del sentimento sociale che permette di capire quanto il soggetto sia concentrato su di sé e quanto riesca a pensare agli altri.

Questo lavoro di indagine e scavo consente al terapeuta di comprendere quali siano le forze in gioco e attraverso quali esperienze e vissuti il soggetto sia passato per strutturarsi con le sue modalità di azione e reazione, quale sia il codice di lettura e di interpretazione che ha sviluppato nel tempo e, quindi, come si sia costruito l’“abito” mentale con il quale affronta la realtà.

L’aspetto difficile del lavoro analitico sta nello scomporre e separare gli elementi oggettivi e di realtà da quelli soggettivi di lettura e di interpretazione della stessa: è su questo registro che l’analista deve, nel tempo, intervenire ed eventualmente “correggere”.

Ri-costruzione e analisi dello stile di vita possono per lunghi periodi del trattamento coincidere e sovrapporsi, ma il possibile effetto di “abreazione” legato alla scoperta ed alla comprensione non coincide affatto con un automatico processo di cambiamento.

Al contrario: quando il paziente scopre e riconosce gli abituali schemi e codici, avendoli analizzati ed elaborati, si trova di fronte ad un bivio cruciale per la terapia: scelgo di rimanere tale e quale già sono, oppure mi confronto con il rischio, sconosciuto, del cambiamento?   È questa una fase ostica del trattamento, quella che provoca maggiori resistenze e spinge i pazienti a trincerarsi dietro a baluardi insormontabili, in quanto è noto che la più grande resistenza umana è la resistenza al cambiamento. Il paziente solitamente ripropone con forza rinnovata i vecchi schemi, le abitudini acquisite, le strategie già proposte e sperimentate: tutto questo, molto spesso, inconsciamente. Ogni azione risulta finalizzata al mantenimento dello status quo: l’angoscia del nuovo, l’insicurezza del non sperimentato, la paura di non riuscire, il timore di non riconoscersi provocano fasi di stallo se non addirittura di arresto o regressione. Il cambiamento può assumere così la connotazione di vero e proprio “trauma” sebbene finalizzato ad un miglioramento della qualità della vita.

Il paziente spesso “sa” (a livello razionale) che i suoi comportamenti (ormai rigidi e cristallizzati  in abitudini e strutturati nello stile di vita, quegli stessi comportamenti che ha rilevato come non efficienti e per cui spesso ha iniziato e affrontato la psicoterapia) non sono funzionali per una sana vita relazionale ed affettiva ma tradurre la teoria in pratica non è semplice. Talvolta, anzi, il paziente ripropone comportamenti patologici e antichi che sembravano superati e lo fa “quasi sapendo” di farsi male: una forza incontrollabile lo spinge a ricadere nei vecchi schemi e a riproporli.

Abbandonare il vecchio “abito”, sebbene non funzionale e fonte di sofferenza, è, dunque, il punto di arrivo di una strada ardua, faticosa ed a tratti traumatica -al perseguimento della quale si oppongono forze inconsce- che rappresenta l’obiettivo finale del progetto terapeutico.

Per esemplificare quanto una terapia può essere utile nella riformulazione dello stile di vita e soprattutto nella modifica del proprio habitus operandi e vivendi portiamo alla vostra attenzione un caso clinico trattato nel corso del 2010.

Emil si presenta in un momento di forte scompenso esistenziale ed emotivo: da tempo soffre di forti attacchi di panico aggravati da pensieri rimuginatori ed ossessivi relativi alla morte ed alla sofferenza.

Emil è un ragazzo di 22 anni e ½ al momento della consultazione (1 anno e ½ fa), di media altezza, longilineo, viso da bambino incorniciato da capelli neri e bellissimi occhi azzurri oscurati da un’espressione di intensa sofferenza.   Non ride, non riesce nemmeno a sorridere (a volte sì ma solo con la bocca) ed appare spaventato soprattutto dalla prospettiva di dover andare avanti così, senza poter modificare nulla.

Nel momento in cui inizia a raccontare la sua vita si percepisce che sotto un’apparente tranquillità (“ho avuto un’infanzia come tanti, niente di particolare, due genitori, due fratelli ma da un altro matrimonio di mia mamma….”) in realtà si celano già delle sofferenze e dei traumi (“mio fratello di mezzo è stato ucciso sotto casa con un colpo di pistola, io ero piccolo ma ricordo quella sera e soprattutto ricordo il periodo successivo e la reazione di mia mamma e di mio fratello maggiore….”,……. “avevo 6 o 7 anni quando andando al circo con mio padre mi sono avvicinato alle gabbie delle scimmie ed una di queste mi ha afferrato il braccio destro maciullandolo con i denti…”) e che lo stile di vita del soggetto si è orientato verso una modalità egodistonica, alla ricerca di soddisfazioni immediate e fugaci ma con possibilità di dare emozioni forti (“fin da ragazzino ho sempre avuto facilità ad entrare in relazione con gli altri ma mi sono affiancato a ragazzi che si sballavano, bevevano e si davano alla pazza gioia la sera per poi risvegliarmi con fortissime emicranie ed un senso di vuoto che non si placava fino a quando non ritornavo con loro in qualche locale o a fumarmi qualcosa da qualche parte per stordirmi totalmente”).

Finisce le superiori e si iscrive all’università ma in realtà, dopo un primo momento in cui frequenta ed inizia a dare gli esami (“sono sempre andato bene a scuola non perché studiassi ma perché mi bastava leggere una pagina per ricordarla perfettamente per cui sono stato facilitato anche nei primi esami all’università”) in seguito inizia a frequentare sempre più assiduamente il gruppetto di amici del paese, atteggiamento questo che lo porta ad avere tutte le ragazze che voleva, esperienze sessuali (numerose e soddisfacenti), ad avere possibilità di fumare canne ed impasticcarsi tutte le sere (ed anche di giorno), ad ubriacarsi di superalcolici ogni volta che usciva ma anche a casa, utilizzando i soldi che il padre mandava come mantenimento per fare tutto ciò che voleva e chiedendo al fratello maggiore i soldi per “vivere” (pagare l’affitto, mangiare, etc…).  La situazione famigliare/affettiva all’atto della sua richiesta d’aiuto è la seguente:

  • i genitori si erano separati anni prima e la madre è tornata in meridione, al paese d’origine: viene descritta come una donna molto affettiva, non tanto scolarizzata né totalmente integrata nel contesto in cui viveva prima (città del nord, con mentalità molto diversa dalla sua: “si era fatta davanti a casa un orticello e mio fratello si vergognava che tutti la vedessero vestita da contadina andare a ravanare nella terra….”). Emil è molto legato alla madre, le vuole molto bene, ma ogni volta che la vede e rimane un po’ di giorni con lei inizia a “patire”, sta male e gli vengono tutti i sintomi di quando va in attacco di panico e quella che lui definisce “paranoia”;
  • il padre vive in un paese vicino a Torino, si è risposato (con una donna straniera con cui stava da anni) ma non è felice: secondo Emil si è sposato perché non riusciva a stare solo e lei lo ha obbligato ma non sono caratterialmente compatibili. Il rapporto con il padre è quasi inesistente: non hanno argomenti in comune, l’uomo non riesce a verbalizzare nulla con il figlio se non è quest’ultimo ad iniziare un argomento, è “strozzato” sui soldi perché la moglie non vuole che spenda soldi per il figlio che è già grande;
  • il fratello maggiore è un uomo di successo, affermato nel suo lavoro, con famiglia e figli. Per Emil è un miraggio, molto distante e molto invidiato, soprattutto perché sembra sempre non aver tempo per lui;
  • la ragazza che frequenta è fragile, bisognosa di attenzioni e tendenzialmente simbiotica con lui. Emil le vuole bene ma se capita di poter frequentare altre ragazze non si pone il problema.

Nell’anno successivo all’inizio del trattamento si sono verificati numerosi cambiamenti sia per quanto riguarda lo stile di vita che in campo sentimentale/affettivo.

La rivisitazione della propria storia, accompagnata ad un lavoro di smantellamento delle difese ed utilizzando anche un lavoro parallelo che Emil stava (e sta) portando avanti con una scuola di teatro per principianti hanno portato ad alcune importanti modifiche.  Vediamole nel dettaglio:

  • abbandono totale del fumo, in tutte le sue forme
  • abbandono totale dell’utilizzo di pasticche varie
  • abbandono totale del consumo di superalcolici e praticamente totale dell’uso di alcolici
  • ripresa degli studi universitari a pieno regime (mancano attualmente 2 esami alla laurea)
  • abbandono delle frequentazioni precedenti che lo portavano a seguire comportamenti non congeniali al benessere fisico e psicologico e creazione di nuove amicizie funzionali ad una crescita globale
  • inizio di una storia affettiva importante con una coetanea di pari livello (ovvero intelligente, non bisognosa di “cure”, non simbiotica, propositiva, etc…)
  • modifica della percezione relativa alla figura materna, intesa sempre come affettivamente importante ma considerata come figura che può cavarsela senza di lui e che va frequentata (per le sue caratteristiche personologiche) per brevi periodi nell’anno
  • riavvicinamento con la figura paterna (per alcuni mesi ha anche vissuto a casa sua) ma benché ora il rapporto sia esistente non è possibile considerarlo di alto valore per le caratteristiche personologiche del padre stesso
  • notevole riavvicinamento con il fratello, con il quale ha instaurato un rapporto “paritario”, affettivo, di condivisione di pensieri, sentimenti e progetti per il futuro (hanno avviato una piccola attività insieme che il fratello ha intestato a nome di Emil perché ora si fida che lui sia in grado di portare avanti qualcosa di importante e sappia prendersi le sue responsabilità)
  • contatto con diversi medici per risolvere (almeno in parte, per quanto possibile) la propria menomazione al braccio destro con un’operazione per dovrebbe permettergli di avere una forma più lineare e meno “visibile”.

Ovviamente i sintomi da attacco di panico ed i pensieri ossessivi sono scomparsi: ogni tanto, soprattutto quando intraprende una nuova “conquista” (nel senso di riuscire a fare qualcosa su cu ha tanto lavorato psicologicamente e fattivamente) riappare qualche sensazione di fastidio e qualche pensiero rimuginatorio ma normalmente viene facilmente bloccato e scacciato definitivamente.