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Legami capaci di futuro: dalle basi intersoggettive dello sviluppo della persona all’esperienza dello “stare” in relazione. Attaccamento, fiducia, desiderio e cura nei rapporti interpersonali

1. I legami oggi

La maggior parte dei numerosissimi studi ed approfondimenti sull’assetto e il funzionamento della societa contemporanea tratteggia un quadro allarmante e scoraggiante circa lo sviluppo e il destino delle relazioni interpersonali: prevale la rappresentazione di un mondo popolato da individui narcisisticamente ripiegati su di se ed orientati alla soddisfazione delle proprie voglie, incapaci di desiderare, costruire, mantenere legami e affetti dotati di stabilita, continuita e profondita.

A tal proposito risulta efficace la definizione di Bauman (2002) di “relazioni liquide”, cioe rapporti interpersonali caratterizzati da istantaneita, brevita, transitorieta, superficialita, facile smaltibilita. Relazioni che potremmo meglio definire “contatti”, per utilizzare un termine molto frequente sul web, che ben rappresenta le modalita “liquide” di incontrarsi oggi. Contatti dalla vita breve, che si attivano e si spengono con facilita, mantenuti fino a che producono un beneficio, un piacere, un soddisfacimento dei propri bisogni, accostamenti fugaci che rifiutano la compenetrazione, relazioni costruite apposta per poter essere interrotte facilmente, senza fatiche o sofferenze. Perche una relazione sia capace di futuro e necessario, invece, investimento stabile, impegno, presenza, continuita, fedelta, responsabilita. Tutte esperienze che tendenzialmente oggi vengono evitate o ridotte al minimo, per superficialita o forse, andando piu a fondo, per paura. Si tratta infatti, nella mentalita odierna, di esperienze potenzialmente pericolose: possono diminuire il piacere immediato, soffocare la realizzazione personale, produrre dipendenza, esporre al rischio dell’abbandono e quindi della sofferenza. Eppure le discipline psicologiche, sostenute recentemente dalle scoperte nell’ambito delle neuroscienze, concordano nel sostenere che l’esperienza relazionale e, in particolare, i legami affettivi primari siano la base della nascita e dello sviluppo psichico dell’individuo: il neonato diventa persona all’interno e in virtu della rete di relazioni nella quale nasce, vive e cresce. La relazione e dunque presupposto imprescindibile, esperienza irrinunciabile, fondante e peculiare dell’uomo.

2. Le basi intersoggetive dello sviluppo

Alfred Adler, caposcuola della Individual Psicologia Comparata, affermava che “Il sentimento sociale e il barometro della normalita” (Adler 1930, 7), a sottolineare come un elemento imprescindibile e necessario per uno sviluppo sano ed una vita armonica sia proprio l’esperienza relazionale. Possiamo dire di piu, sviluppando il pensiero di Adler: non solo l’esperienza relazionale e ingrediente indispensabile per un sano sviluppo ed una vita armonica, ma ne e l’elemento fondante.

Questo concetto e stato ampiamente ripreso ed elaborato da molti autori successivi in psicologia, come Winnicott, pediatra e psicoanalista, che affermava: “Un bambino da solo non esiste” (Winnicott 1951, 168), cioe non puo nascere psicologicamente, come individuo, se non si trova immerso in una relazione. L’attivita psichica di un bambino si sviluppa e si struttura soltanto all’interno di una relazione; invece si blocca, regredisce, si disorganizza se non e in relazione, o se questa viene a mancare o se e molto disturbata.
Tale assunto viene ripreso ed ampliato da Siegel (1999) che, introducendo il concetto di “mente relazionale”, dimostra scientificamente, attraverso studi neuropsicologici, come proprio i circuiti cerebrali, le connessioni neuronali si costituiscano e si attivino sulla base delle esperienze relazionali dell’individuo. Questo processo di “costruzione della mente” si realizza in maniera massiccia durante l’infanzia e l’adolescenza, ma continua ad avvenire anche in eta adulta: il cervello mantiene una certa plasticita in tutte le eta della vita. Dunque e sulla base delle esperienze relazionali, e naturalmente della loro qualita e delle loro caratteristiche, che si plasma il cervello del soggetto in crescita e quindi si struttura il funzionamento neurologico e psicologico dell’individuo.
La scoperta, negli anni ’90, dell’esistenza di particolari neuroni presenti nella corteccia cerebrale, chiamati neuroni a specchio (Rizzolati & Sinigaglia 2006), ci ha dato la prova oggettiva che, non solo la mente si plasma attraverso la relazione, ma anche che il nostro cervello e predisposto alla relazione, e fatto per permetterci di entrare in relazione. I neuroni a specchio sono una classe di neuroni che si attivano quando compiamo un’azione, ma anche quando osserviamo la stessa azione compiuta da un altro soggetto: e come se anche noi facessimo quell’azione, ci identifichiamo con l’azione dell’altro. Studi ulteriori (Gallese 2007; Gallese, Keysers & Rizzolatti 2004; Gallese 2006a) hanno evidenziato come i neuroni a specchio si attivino anche in relazione alle emozioni degli altri, espresse con la mimica facciale, i gesti, i suoni, le parole. Tali scoperte, ancora in fase di approfondimento data la complessita del fenomeno, evidenziano come il nostro cervello si attivi di fronte alle emozioni altrui e ci permetta di sentire emotivamente quello che l’altro sta vivendo: e la base dell’empatia. La capacita di entrare in empatia sarebbe dunque biologicamente determinata; sappiamo tuttavia che si sviluppera in modo piu o meno ampio a seconda delle istanze temperamentali e delle esperienze relazionali che il soggetto fara nel corso del suo sviluppo.

3. Le dinamiche delle relazioni primarie: sintonizzazione, riconoscimento, contenimento e costruzione del Sé

Dunque siamo biologicamente predisposti alla relazione e ci costruiamo nella relazione. Cio e evidente anche soltanto osservando che cosa succede tra una mamma e un bambino piccolo: fin dal momento in cui il neonato esce dalla pancia della mamma, inizia un dialogo molto intenso tra i due (che a dire il vero e gia incominciato prima della nascita, nel ventre materno, un dialogo fatto di movimenti, suoni, scambi chimici intrauterini).

Gia Konrad Lorenz, negli anni ’40 del secolo scorso, aveva evidenziato come una serie di caratteristiche particolari del muso dei piccoli dei mammiferi, compresi i cuccioli di uomo, costituiscano il cosiddetto “prototipo infantile” (Lorenz 1949): testa grande, fronte ampia e sporgente, occhi grandi, guance paffute, forme arrotondate. Questa conformazione del volto istintivamente attrae il soggetto adulto, blocca l’aggressivita e attiva schemi comportamentali di relazione e di cura nei confronti della prole.

In particolare fu poi Daniel Stern, psichiatra e psicoanalista statunitense, a studiare in modo approfondito le interazioni precoci tra mamma e bambino (Stern 1985). Egli noto come il genitore, su stimolo del prototipo infantile, istintivamente si ponga nei confronti del bambino con tipiche espressioni facciali, vocalizzi, sguardi, presentazioni del volto, comportamenti prossemici, del tutto caratteristici per modalita, frequenza, accentuazione, durata, ripetitivita e diversi rispetto a quelli utilizzati nella relazione con un soggetto adulto.

Mediante tali comportamenti piuttosto accentuati la mamma capta e mantiene l’attenzione del neonato. Questo, a sua volta, possiede l’attitudine innata a riconoscere tali comportamenti sociali e risponde mettendo istintivamente in atto propri schemi comportamentali: il sorriso, i vocalizzi, i movimenti eccitati di braccia e gambe. Si viene così a creare un dialogo tra mamma e bambino, istintivamente attivato, ma che entrambi contribuiscono poi attivamente ad alimentare e a modulare. L’uno stimola l’altro in questo scambio dinamico dove si alternano momenti di eccitazione a momenti di rilassamento, momenti di avvicinamento a momenti di allontanamento, momenti di coinvolgimento a momenti di neutralita, momenti di ripetizione a momenti di novita, andando a produrre quella che Stern chiamo, con una bella espressione, la “meravigliosa danza”. E interessante notare come, fin dall’inizio, il bambino non sia passivo, bensì attivo nella relazione con la madre.

Si avvia così, sulla base di predisposizioni innate e attraverso la ripetizione modulata di sequenze di interazione, il processo della sintonizzazione: la madre riconosce i bisogni e i sentimenti del bambino e presenta un comportamento di risposta corrispondente, atto a soddisfare tali bisogni fisiologici o affettivi; il bambino, a sua volta, riconosce la risposta materna, sperimenta soddisfazione rispetto al bisogno, collega questa esperienza a precedenti esperienze di sintonizzazione, sperimenta coerenza e continuita, sviluppa sicurezza circa il fatto di essere sintonizzato emotivamente con la madre e si sente riconosciuto. Ecco la genesi psicologica di un’esperienza evolutiva ed esistenziale fondamentale: essere riconosciuti, esperienza che permettera poi al bambino di riconoscere se stesso. E necessario che ci sia un altro da me, in relazione con me, che mi riconosca affinche io possa riconoscere me stesso, come entita separata. Nella fusione o nell’esperienza della trascuratezza (fino all’abbandono) non c’e riconoscimento.

Il ripetersi di interazioni caratterizzate da coerenza e sintonizzazione produce nel bambino il sorgere del primo nucleo del Se. Il genitore, attraverso le sue risposte, i suoi rimandi e i suoi rispecchiamenti, trasmette al bambino come lui lo vede e lo vive e da un nome agli stati fisiologici ed emotivi che il bambino inizialmente sperimenta in maniera caotica ed indifferenziata (funzione del “contenimento emotivo”). Il bambino inizia così a vedere se stesso rispecchiato negli occhi della madre, a differenziare il suo mondo interno grazie all’azione di contenimento dei genitori e quindi a costruire su questa base l’immagine di se. Possiamo dire che l’uomo conosce se stesso e costruisce la sua immagine di se attraverso l’altro: la costruzione del Se avviene nella relazione.
Da cio risulta evidente come siano significative le caratteristiche dei caregiver, il loro modo di relazionarsi con il bambino e le risposte che forniscono; in seguito saranno altresì importanti le originali elaborazioni che il soggetto, crescendo, fara circa l’immagine di se, alla luce delle successive esperienze relazionali. Possiamo dunque affermare che le esperienze relazionali precoci costituiscono la base del processo di costruzione del nucleo primario della personalita, ma la plasticita cerebrale e la continuita dell’esperienza relazionale permettono continue elaborazioni e quindi un costante evolversi della personalita anche in eta successive.

4. Corpo, linguaggio, relazione

Non dobbiamo trascurare il fatto che un ruolo fondamentale nel processo di crescita e svolto dal corpo (Bastianini 2011). Il bambino entra in relazione con gli altri e con il mondo primariamente attraverso il corpo. L’esperienza del legame, dunque, non puo prescindere dal corpo. Il bambino e corpo prima di essere pensiero e sentimenti e questi si sviluppano a partire dal corpo in movimento, che sperimenta. Il bambino conosce precocemente se stesso e il mondo attraverso il proprio corpo in azione e in interazione con altri corpi. Le sensazioni corporee sperimentate si depositano nella mente, si aggregano, si articolano nel tempo e ricevono dall’esterno nomi e significati, andando a costituire le prime rappresentazioni mentali di se stessi e del mondo. Esse diventano, via via, piu complesse e differenziate, fino a formare un sistema rappresentazionale interno individuale che e il nostro modo originale di vedere, interpretare e vivere noi stessi e il mondo. Tutto cio pero puo avvenire solo se vi e una relazione che attiva, sostiene e rinforza il processo.

E dall’esperienza relazionale corporea che sorge successivamente il linguaggio verbale. Secondo Stern, esso nasce proprio dall’esperienza della sintonizzazione: la parola e il prodotto dell’unione e del dialogo fra due corpi e due menti, che gia e presente prima della parola. La parola inizialmente e un suono condiviso, che viene poi associato alla rappresentazione di un oggetto: diviene allora suono significante, che traduce verbalmente e collega le rappresentazioni mentali del bambino e del genitore. Potremmo dire che i bambini sviluppano il linguaggio verbale per rinforzare l’esperienza di essere con l’altro, per creare un nuovo e piu efficace modo di interagire con l’altro e di condividere.

Ecco dunque come si costruisce ed evolve il legame tra genitore e figlio. Un legame tuttavia che, se si sviluppa in maniera equilibrata e sana, non contempla solo il fornire risposte gratificanti ai bisogni immediati del bambino, ma, proprio attraverso la sintonizzazione e ponendosi in una prospettiva evolutiva, impara a riconoscere i bisogni sani del bambino, quelli funzionali alla crescita e si colloca nell’ottica di fornire risposte che accompagnino, stimolino, indirizzino il bambino verso uno sviluppo armonico della sua identita e delle sue potenzialita, comprese quelle che gli permettono di entrare e rimanere in relazione con gli altri, fondamentali affinche diventi capace a sua volta di costruire e mantenere legami. Quindi non necessariamente una risposta immediatamente gratificante, ma una risposta utile alla crescita, in armonia con la realta ed il contesto nel quale il bambino vive. Una risposta che va oltre all’individuo nel qui ed ora, ma tiene conto del contesto e di una prospettiva futura.
Possiamo dunque affermare, sulla base dei ragionamenti fin qui condotti, che le relazioni primarie, i legami affettivi di base sono presupposti imprescindibili, esperienze irrinunciabili, fondanti e strutturanti l’essere umano. La psicologia dello sviluppo, attraverso le osservazioni e le sperimentazioni, la clinica psicoterapica, attraverso lo studio e il trattamento dei disturbi e dei disagi psichici, e le neuroscienze, attraverso le recenti scoperte sulla genesi e il funzionamento del cervello, forniscono una conferma chiara e univoca rispetto a tale assunto, sicuramente gia enunciato in precedenza da altre discipline.

5. Lo sviluppo dei legami affettivi: quattro esperienze fondamentali

Fatte queste premesse, entriamo nel merito di quattro esperienze fondamentali che caratterizzano i legami affettivi primari e, per estensione, tutti i legami: l’attaccamento, la fiducia, il desiderio e la cura. Allo stesso tempo, proviamo a tratteggiare quali cambiamenti hanno subito queste esperienze basilari ai giorni nostri e come cio incida sui processi di crescita, sulla costruzione della personalita e sullo sviluppo di nuovi stili relazionali.

5.1. L’attaccamento

Gli autori che hanno messo a punto la teoria dell’attaccamento (Bowlby, Ainsworth e altri), hanno evidenziato come i bambini, fin dalla nascita, siano naturalmente portati a sviluppare un legame nei confronti degli adulti che si occupano di loro. E evidente che una buona sintonizzazione ed esperienze reiterate di comunicazione contingente e coerente producono quello che Bowlby chiamava “attaccamento sicuro” (Bowlby 1969). L’attaccamento sicuro non solo permette al bambino di sperimentare una base solida e rassicurante a cui far riferimento, ma anche di costruire un se solido, organizzato, stabile. Il fare esperienza di una base sicura permette al bambino di sentirsi sufficientemente tranquillo per poter affrontare la realta con autonomia crescente. Inoltre questa esperienza relazionale primaria viene interiorizzata e diviene modello per le relazioni che il bambino andra a costruire successivamente. Piu il bambino sperimenta equilibrio, sintonia, sicurezza, stabilita, solidita, continuita nelle relazioni primarie, piu sara predisposto a sviluppare successivamente relazioni con le stesse caratteristiche.

Possiamo individuare alcune linee di cambiamento nei modelli di attaccamento, sotto l’influenza delle tendenze socio-culturali della societa contemporanea?
Mediamente i genitori di oggi non mancano di attenzioni nei confronti dei bisogni che i bambini esprimono (Grandi & Lerda 2013). Anzi molto spesso il bambino appare come un “piccolo re”, le cui richieste vengono soddisfatte ancor prima di essere espresse, al riparo da ogni forma di sofferenza o mancanza. Il bambino non e piu (ormai da decenni) risorsa materiale per la famiglia, da allevare come futura forza lavoro per il bene individuale e comune, ma, nella societa del benessere, il figlio puo rappresentare piu spesso un oggetto di soddisfazione narcisistica per il genitore (o come dice Bauman [2003] un “oggetto di consumo emotivo”), oppure un prodotto di cui vantarsi, che diventa testimonianza della propria efficienza, misurata sulla base dell’agio e delle opportunita che si possono offrire, e delle competenze ed eccellenze che il bambino riuscira a sviluppare.

Questa impronta narcisistica del legame di attaccamento primario puo fare da “stampo” nel processo di costruzione del se e da “modello” per le relazioni future. Piu che fornire al bambino risposte coerenti ai bisogni sani di sviluppo, quindi funzionali al suo rinforzo in prospettiva futura, le risposte ruotano attorno alla soddisfazione narcisistica del genitore e del bambino. Il bambino e oggetto gratificante e soggetto da gratificare. Si sviluppa non tanto la spinta ad affrontare la vita coraggiosamente, a diventare un adulto capace e responsabile, ad inserirsi dignitosamente e produttivamente nella societa, a contribuire al bene comune attraverso la capacita di riconoscere l’altro e di cooperare, quanto piuttosto l’illusione dell’onnipotenza e il bisogno di essere visto, considerato, ammirato. Su questa base anche le relazioni future tendono a costruirsi su un registro narcisistico. L’altro serve per ricevere conferme, sentirsi importanti, al centro dell’attenzione, non e un soggetto con cui condividere, completarsi, arricchirsi, progettare, costruire.

Si tratta di fatto del meccanismo che sostiene l’uso di molti social network: la vetrina, l’essere visti, la richiesta dei like. Il bisogno di essere considerati, ammirati, applauditi. Sullo stesso principio si basa il fenomeno del “sempre connessi”, che testimonia la necessita di essere sempre in contatto con qualcuno, non “qualcuno in particolare”, ma una “nuvola” di presenze vaga e mutevole, che conferma che ci sono, che mi guarda e mi dice qualcosa, non importa che cosa. Un’impostazione narcisistica che rivela tutta la sua fragilita e contraddittorieta: l’uomo contemporaneo non accetta legami che limiterebbero la sua liberta, che mortificherebbero la sua unicita, che lo farebbero sentire vincolato, tarpato, chiuso, ma, in realta, ha continuamente bisogno di qualcuno che lo confermi, lo rassicuri del fatto che esiste ed e importante, e unico, e speciale, e “seguito”. Mentre afferma di voler essere completamente libero ed autonomo, non “legato”, non vincolato, e in realta profondamente dipendente dagli altri e profondamente fragile: il senso di se dipende in tutto e per tutto dalle conferme degli altri ed e dunque facilmente soggetto a oscillazioni e discontinuita. La presenza dell’altro non si connota come un legame scelto e alimentato per costruire, generare, sviluppare, ma come un contatto di cui non si puo fare a meno per confermare la propria immagine, sopravvivere e placare l’angoscia del vuoto.
Osserviamo inoltre che attualmente i legami di attaccamento funzionano spesso “ad intermittenza”. Quando il genitore c’e, c’e tantissimo, con un’attenzione esclusiva, quasi morbosa: non deve mancare nulla, il rapporto deve essere perfetto. Ma in altri momenti il genitore non c’e e non c’e proprio per nulla, ne fisicamente ne mentalmente (assorbito completamente da qualcos’altro) e viene sostituito da surrogati genitoriali. Da qui una certa discontinuita che probabilmente non contribuisce alla costruzione di quel senso di permanenza, stabilita, coerenza, continuita necessario, come abbiamo visto, per la costruzione di un se solido e armonico. Figure di riferimento a corrente alternata, presenze che si materializzano e si smaterializzano, seguendo il meccanismo del “tutto” o “niente”, possono essere all’origine di funzionamenti psicologici “per estremi”: iper-stimolazione/iperattivita o vuoto insostenibile, soddisfazione completa o frustrazione profonda, da cui puo derivare un senso di valore di se e degli altri misurato sulla base delle sensazioni momentanee di gratificazione o frustrazione, soggette quindi ad oscillazioni abissali.

Si aggiunge al quadro in esame, la crescente instabilita delle famiglie di oggi: un numero sempre in aumento di separazioni coniugali, caratterizzate spesso da un’elevata conflittualita oltre che da repentini ed imprevedibili cambiamenti in termini di tempi condivisi, spazi in cui abitare, modalita di incontro, abitudini. Assistiamo inoltre a trasformazioni significative della famiglia tradizionale, con la comparsa spesso di nuovi personaggi e la costituzione di nuovi nuclei familiari. Modificabilita, fluidita, flessibilita, precarieta, esperienze che difficilmente rispondono alle esigenze di continuita, solidita, coerenza, stabilita che abbiamo visto essere fondamentali per un soggetto in crescita.

Infine osserviamo, nella cultura contemporanea, il predominio del “fare” sullo “stare” (Grandi & Lerda 2013): l’uomo di oggi e inserito in un vorticoso e incessante movimento che lo vede passare da un impegno all’altro, da un ambiente ad un altro, da un’attivita ad un’altra, da un contatto ad un altro. Una modalita iperattiva, frammentata e discontinua, che coinvolge adulti e bambini, e non consente loro di fermarsi (forse anche per evitare l’esperienza della noia, che rimanda oggi ad una insostenibile angoscia del vuoto). Uno stile di vita che disabitua gli adulti e non permette ai bambini di abituarsi a “stare”: stare in un luogo, stare in un gioco, stare ad ascoltare, stare ad osservare, stare a parlare, stare nella relazione, semplicemente godere della presenza dell’altro, dello “stare con”. I genitori oggi danno molto ai loro bambini, ma tendenzialmente stanno poco con loro.

Se il maggior rischio evolutivo in passato derivava dal maltrattamento, dalla trascuratezza o dal non riconoscimento dei bisogni emotivi dei bambini nei legami di attaccamento primari, da cui si potevano sviluppare carenza di sicurezza personale, rabbia, conflitto intergenerazionale e problematiche dell’autostima, oggi il rischio piu significativo e dato dall’impronta narcisistica dei legami familiari, dalla loro discontinuita e frammentarieta, da cui possono derivare centratura su di se, fragilita identitaria, oscillazione tra opposti dell’immagine di se e del mondo (onnipotenza/impotenza, iper- valorizzazione/iper-svalutazione), fuga dall’incontro e da se stessi attraverso l’iperattivita, individualismo e dipendenza patologica.

5.2. La fiducia

La seconda esperienza di base che vogliamo prendere in esame e quella della fiducia. E un’esperienza così fondamentale per la crescita della persona che Erik Erikson (1950), nella sua teorizzazione sugli otto stadi dello sviluppo psicosociale dell’uomo, la pose come compito evolutivo della prima fase, tra gli 0 e i 2 anni vita. Cio significa che il bambino, per iniziare a crescere, deve necessariamente sperimentare la fiducia, che costituisce la base per tutte le successive tappe evolutive.

In un’esperienza relazionale sana tra bambino e genitore, si viene a creare una concatenazione virtuosa di atti di fiducia. Innanzitutto il genitore deve coltivare buona fiducia in se stesso in quanto genitore: questo permette al bambino di sentire di potersi fidare di lui e a lui poter fare riferimento. In secondo luogo il genitore deve fidarsi del bambino e delle sue potenzialita evolutive: questo consente al bambino, a sua volta, di sviluppare fiducia in se stesso e negli altri.

Rispetto al primo punto, registriamo oggi significativi cambiamenti: i genitori si sentono tendenzialmente piu insicuri, impreparati e temono spesso di non essere in grado di compiere bene il proprio compito (Di Summa 2013). Cio che un tempo veniva espletato con naturalezza ed istintivita, e oggi qualcosa per cui ci si sente carenti, bisognosi di una preparazione specifica. Come se, un tempo, il fatto stesso di diventare biologicamente genitori garantisse di essere capaci di svolgere questo ruolo. Se e vero che le minori conoscenze a livello pedagogico e psicologico e un minor grado di consapevolezza circa l’importanza del modo di prendersi cura dei bambini portava i genitori ad interpellarsi di meno circa l’educazione dei figli, e anche vero che vi era un sapere implicito che si tramandava, mansioni di cura che si imparavano naturalmente, un “occuparsi di” che faceva parte della vita familiare e riguardava anche i bambini e i ragazzi, quando un numero piu elevato di figli richiedeva ai fratelli maggiori di seguire i minori. Oggi, il venir meno di queste esperienze, insieme alla maggiore complessita del mondo in cui viviamo, rendono i genitori contemporanei decisamente piu confusi e disorientati di fronte ad un compito che sembra impossibile.

Cio puo produrre un atteggiamento debole del genitore di fronte al bambino, eccessivamente dubbioso e timoroso, che non trasmette solidita e sicurezza. Il bambino si sente coperto di attenzioni, di oggetti e di ansieta, ma spesso non garantito, non protetto, non guidato. Egli ha bisogno di essere ascoltato, ma anche di essere indirizzato, ha bisogno di qualcuno che gli dica che cosa si deve fare e come bisogna fare certe cose, qualcuno che gli permetta di sperimentarsi, ma che gli ponga anche dei limiti. Ha bisogno di sentire dei genitori forti, piu forti di lui, in grado di sorreggerlo e di contenerlo, in grado di difenderlo anche da se stesso, da quelle spinte che lo potrebbero mettere in pericolo.
La forza e l’autorevolezza del genitore devono essere regolate e “impastate” con la fiducia che il genitore ripone nelle capacita evolutive del bambino. Se il genitore si fida delle capacita e delle peculiarita del figlio, la sua autorevolezza non si tradurra in autoritarismo: forza, fermezza, guida, limite, ma non modalita che annulla, non riconosce, schiaccia, plasma a sua immagine e somiglianza.

Avere fiducia nelle potenzialita evolutive del bambino vuol dire anche non sostituirsi a lui, lasciare che affronti le sue difficolta, che trovi le sue soluzioni. Se una mamma prende in braccio il bambino ogni volta che piange e come se gli dicesse implicitamente: “Da solo non ce la fai, hai bisogno di me per stare bene”. L’educazione viziante, molto diffusa oggi, vede il genitore impegnato ad evitare ogni difficolta al bambino, ad eliminare possibili esperienze di frustrazione e di sofferenza, spesso sostituendosi a lui. Tale modalita non aiuta il bambino a crescere, sia perche non gli permette fattivamente di trovare proprie soluzioni ai problemi e di allenarsi a farlo, sia perche gli trasmette un messaggio di sfiducia: “Non mi fido delle tue capacita, non ci riesci da solo, lascia che faccia io”. E il bambino, che si fida del genitore, pensa che sia proprio così e lascia fare, anzi a volte inizia a pretendere che siano la madre o il padre a fare le cose che dovrebbe fare lui, che intervengano subito in suo soccorso, che provvedano immediatamente a soddisfare ogni sua voglia per non dover sopportare una frustrazione. Il bambino diventa un piccolo tiranno, che nasconde, dietro la facciata arrogante e prepotente, una profonda fragilita e sfiducia nelle proprie capacita e risorse.

Come prima accennato infatti, l’esito della catena della fiducia e proprio la fiducia o sfiducia che il bambino sviluppa riguardo a se stesso, l’immagine di se che costruisce. Analogamente a quanto detto riguardo all’attaccamento, sviluppare fiducia in se stessi all’interno di un legame “sicuro” consente di potersi allontanare dal porto e sperimentarsi nel mondo. Inoltre l’aver fatto esperienza di rapporti di fiducia, di rapporti che non schiacciano ma accompagnano e sostengono, permette al bambino, crescendo, di avere maggiori possibilita di fidarsi di altri che incontra sulla propria strada e di sentirsi degno di fiducia.

Fidarsi dell’altro, proprio sul modello di una relazione primaria equilibrata, non significa delegare all’altro, lasciare che l’altro faccia, o lasciarsi condizionare o schiacciare dall’altro, ne pretendere da lui, ma significa decidere di condividere, permettere all’altro di entrare un po’ o tanto nella propria vita, beneficiare del suo aiuto e volerlo dare senza timore di essere sfruttati o rimanere intrappolati. Una fiducia che permette di andare verso l’altro, con attenzione, con prudenza, ma anche correndo qualche inevitabile rischio, sapendo di poterlo sostenere. La fiducia in se stessi e una certa solidita del se, permettono anche di affrontare eventuali delusioni o tradimenti, senza per questo ritirarsi in una chiusura solipsistica difensiva.
Pensare di potersi fidare solo di se stessi e un atteggiamento difensivo molto penalizzante, una scelta spesso dettata dalla paura, di fatto dalla mancanza di fiducia in se stessi, dal timore di non riuscire a sopportare la sofferenza in caso di abbandono, dall’angoscia di perdere la propria individualita e la propria liberta. Nella trincea dei muri difensivi o dall’alto del piedistallo su cui il narcisista si colloca si finisce per sperimentare situazioni di stagnazione, di inaridimento, di svuotamento di significato e, spesso, di malattia, come vedremo (Grandi 2002).

5.3. Il desiderio

Ed e proprio all’interno dell’esperienza del legame che si presenta la dinamica del desiderio, il terzo fattore su cui richiamiamo la nostra attenzione. Laddove, come illustra efficacemente Recalcati (2012), il legame mantiene una connotazione fusionale-narcisistica, il bisogno e immediatamente soddisfatto e la madre non e persona, ma “seno”, oggetto di consumo, non si sviluppa il desiderio. Perche si sviluppi il desiderio e necessaria la Legge, la Legge del Padre, il Terzo che si inserisce nella diade fusionale originaria e mette dei limiti, definisce dei confini, impone delle distanze. Allora inizia a delinearsi l’Altro, il suo esistere separato da me, con le sue caratteristiche, le sue esigenze, i suoi tempi e i suoi modi. Non e oggetto da divorare, includere, distruggere attraverso l’espressione libera delle pulsioni, ma e persona separata con cui interagire, verso cui si sviluppano sentimenti e di cui si puo anche sentire la mancanza quando e lontana e desiderare il suo ritorno, il ricongiungimento.

Un legame dunque in cui si differenzia un Io e un Tu, in cui, come dice Recalcati, “non si puo avere tutto, godere di tutto, sapere tutto, essere tutto”, dove si profila quindi l’eventualita dell’attesa, della frustrazione, della rinuncia, dell’impegno per raggiungere un obiettivo o per mantenere il legame stesso, del sacrificio, ma anche della creativita, dello scambio, del progetto, dell’impresa, della generativita. Senza l’esperienza del limite, non c’e veramente relazione tra un Io e un Tu, un riconoscimento reciproco, il desiderio dell’Altro e il desiderio di essere desiderato dall’Altro, il sentire di avere un valore per l’altro e che l’altro ha valore per me, ma c’e godimento avido, individualista, centrato sull’oggetto feticcio, capriccioso, compulsivo, sregolato, privo di responsabilita, possessivo, distruttivo e autodistruttivo, di fatto anche angosciante.

Il desiderio, dunque, ha una struttura relazionale: proviene dall’Altro e si dirige verso l’Altro. Desiderio, relazione e limite sono strettamente interconnessi nello sviluppo psicologico dell’uomo. Anche rispetto a cio, scorgiamo alcuni rischi nei modelli relazionali proposti dalla cultura contemporanea.

Charmet (2000), gia alcuni anni fa, notava l’avvenuto passaggio da un modello di famiglia di tipo etico-normativo ad un modello di tipo affettivo. La famiglia etica era strutturata sul principio di autorita ed era volta a trasmettere norme e valori: principale obiettivo educativo era che i figli “si comportassero bene e trovassero un posto nella societa”. La famiglia affettiva di oggi, invece, e dedita primariamente a trasmettere affetto e a provvedere alla felicita dei figli: l’obiettivo e che i figli “stiano bene, siano felici, non soffrano”. C’e sicuramente un guadagno dal punto di vista della disponibilita, della vicinanza emotiva, dell’accompagnare, del sostenere con affetto e calore, ma il rischio e che le modalita affettive possano sconfinare in stili educativi iperprotettivi o vizianti che, proprio perche non introducono limiti e norme, non stimolano il desiderio, ma forniscono appagamento immediato, godimento istantaneo, evitamento di ogni forma di frustrazione o limitazione delle possibilita. Con questo approccio educativo, faticano a svilupparsi l’intraprendenza, l’impegno, l’assunzione di responsabilita, il riconoscimento e il rispetto dell’altro come persona “altra” da me e non oggetto di gratificazione, il saper aspettare, rinunciare, tollerare la frustrazione del non avere subito e del non riuscire subito. La carenza di queste attitudini non solo penalizza, rende fragile il bambino/ragazzo di fronte ai compiti della vita, ma lo rende incapace di costruire e mantenere legami significativi nel tempo.

Questo stile educativo, inoltre, pur aspirando alla costruzione idealizzata del nido perfetto, della famiglia felice i cui membri provvedono alla reciproca gratificazione, spesso produce piccoli narcisi che finiscono per tiranneggiare anziche gratificare il genitore, portandolo talvolta a sviluppare reazioni aggressive ed espulsive.

5.4. La cura

Il discorso appena sviluppato ci induce ad affrontare il concetto di cura, la quarta dimensione caratterizzante i legami affettivi primari. E evidente che un essere umano per crescere ha bisogno di cure. Ma che cosa intendiamo per cura? E quali cure?

Rene Spitz, psicoanalista austriaco, nei suoi studi sui bambini orfani dopo la seconda guerra mondiale, aveva osservato che bambini molto piccoli si lasciavano morire o sviluppavano gravissimi sintomi depressivi anche se venivano accuditi dalle infermiere nei loro bisogni fisiologici in maniera piu che adeguata (Spitz 1965). Che cosa mancava? Mancava un adulto che si prendesse “cura” di loro, nel senso piu profondo del termine. Non solo cure materiali (nutrire, rispondere ai bisogni fisiologici, curare la salute) e neanche solo cure affettive generiche (fornire genericamente contatto fisico, calore, affetto), ma, come dice Luigina Mortari (2006), cure “particolari”, non “anonime”, cioe cure che tengano conto dell’unicita e peculiarita di quel bambino, cure che si basino sul riconoscimento dell’altro, sul desiderio dell’altro e del suo bene.
Il bambino, cioe, ha bisogno di sentire di essere nella mente del genitore. E il genitore che cura, avendo a mente il bambino e riconoscendo le sue potenzialita ad esistere, a crescere, a diventare adulto, si adopera perche vi siano le condizioni affinche queste potenzialita possano tradursi in reali capacita, il bambino possa sperimentarle, riconoscerle e svilupparle per poter “diventare quello che puo essere”. Non si tratta dunque di forgiare, ma di permettere al soggetto di cui ci prendiamo cura di trovare e percorrere la sua strada esistenziale. Si tratta quindi di coltivare e consentire al soggetto stesso a sua volta di custodire e nutrire il “desiderio di esistere”, di esserci nella propria qualita unica e singolare. Si tratta anche di mantenere viva la fiducia originaria nella vita, in se stessi e negli altri; questa fiducia, anche se ben coltivata e sperimentata nelle relazioni primarie, rimane di fatto fragile di fronte alle fatiche dell’esistere e del crescere. E necessario dunque continuare a prendersene cura perche possa mantenersi e svilupparsi.

Nelle pratiche educative contemporanee assistiamo, per certi versi, ad una svalutazione del “prendersi cura” inteso in questo modo. Recentemente abbiamo piu spesso sentito parlare, ad esempio in ambito scolastico, di apprendimento efficace, sviluppo delle competenze, obiettivi didattici. Quindi tecniche, strategie, modelli per aumentare l’efficacia dell’insegnamento e potenziare gli apprendimenti. Nello stesso tempo verifichiamo una crescente necessita di categorizzare, incasellare, medicalizzare: in ogni classe abbiamo gli alunni con DSA, gli iperattivi, gli autistici, gli stranieri, gli svantaggiati sociali. E i bambini dove sono finiti? E senza dubbio utile riconoscere e definire le difficolta, gli eventuali profili psicopatologici, così come le capacita e le competenze individuali, in modo da predisporre interventi didattici finalizzati a valorizzare ed ottenere il massimo dei risultati a partire dalle potenzialita presenti in ciascuno. Ma sarebbe altresì importante che insegnanti ed educatori dedicassero energie e tempo nei loro percorsi di formazione ed aggiornamento, e poi nella loro pratica professionale, per sviluppare o potenziare la propria sensibilita e le proprie capacita di accostarsi al bambino per coglierne le sue peculiarita e modalita esistenziali, non solo le sue abilita, le sue competenze o i suoi deficit. Cio risulta indispensabile affinche il processo educativo si sviluppi nella dimensione del “prendersi cura” e non solo del redigere documenti e piani individualizzati che stabiliscano misure dispensative e compensative e criteri di valutazione (seppur utili). Si tratta di saper cogliere e almeno tentare di entrare in sintonia con il “modo di essere al mondo” di quel bambino o di quel ragazzo, e di lavorare con lui affinche sviluppi consapevolezza di se, delle proprie potenzialita e delle proprie difficolta, non solo sul piano cognitivo, ma anche emotivo e relazionale, e possa coltivare fiducia nella possibilita di diventare quello che puo essere.

Ma ancora una volta questo non puo che passare attraverso la relazione, non attraverso un test o una tecnica educativa. Un prendersi cura che sostenga il desiderio di esserci e la fiducia del bambino in se stesso, e nello stesso tempo gli permetta di vivere l’esperienza dell’“essere con” e le potenzialita creative che si sprigionano dalla relazione.

Sentire che qualcuno si prende cura di me significa sentirmi nella mente di qualcuno, non solo nel senso che qualcuno si ricorda di me, ma anche nel senso che qualcuno mi riconosce, mi pensa, elabora qualcosa proprio per me, per come sono fatto io, per quelle che sono le mie caratteristiche e le mie possibilita di crescita. Qualcuno che parte da me, non da un’immagine ideale di me o un’immagine anonima di bambino o di persona.

C’e da aggiungere, a proposito del discorso sulla cura e piu in generale delle relazioni, che, se e vero che siamo predisposti alla relazione e che l’aver ricevuto cure apre alla possibilita di offrire cure a nostra volta, cio non avviene automaticamente: e necessario un intervento educativo. La predisposizione alla relazione diventa capacita e pratica se viene educata. Educare alla relazione non vuol dire solo amare il bambino affinche diventi capace di amare, ma anche metterlo nelle condizioni perche si eserciti ad amare e chiedergli di farlo. Vuol dire, ad esempio, aiutarlo gradualmente a prendere coscienza che la relazione, a partire da quella con il genitore, deve andare nelle due direzioni, deve essere caratterizzata da reciprocita. E quindi portarlo a riconoscere che il genitore non e solo un dispensatore di cure, ma un soggetto che deve essere riconosciuto in quanto tale, che dunque richiede rispetto, attenzione, collaborazione. Il bambino deve essere stimolato a cooperare, ad aiutare, a mettersi al servizio a partire dall’ambiente familiare, con i genitori, con i fratelli. La connotazione narcisistica delle relazioni primarie (di cui abbiamo parlato), la tendenza alla viziatura, il contrarsi delle famiglie, sempre piu isolate nel nucleo stretto e sempre piu caratterizzate dalla presenza di un solo figlio, hanno notevolmente ridotto l’azione educativa, che passa attraverso la pratica quotidiana, volta a sviluppare la capacita di “prendersi cura”.

Le argomentazioni finora proposte ci riportano alle premesse: da un lato abbiamo la conferma che la relazione e presupposto imprescindibile, esperienza irrinunciabile, fondante e peculiare dell’uomo, indispensabile per la sua crescita e la sua vita; dall’altro risulta evidente che i mutamenti socio- culturali e le trasformazioni degli stili di vita sicuramente hanno influito ed influiscono sul modo di vivere oggi le relazioni e sulle caratteristiche dei legami. A partire dall’esame dei legami primari, su cui si struttura la personalita e che fungono da modello per le successive esperienze relazionali, ravvisiamo elementi di criticita che riguardano la continuita, la profondita, la stabilita e, ancor prima, il desiderio del legame stesso e del suo mantenimento. E messa in crisi la capacita di “stare” in relazione e di “rimanere” in relazione, di viversi in una prospettiva progettuale condivisa.

6. “Stare” in relazione oggi: l’importanza di cogliere e sviluppare i segnali promettenti

Tale analisi della societa contemporanea puo portare ad un certo scoraggiamento, indurre a vedere nelle attuali tendenze e nel funzionamento degli individui e dei gruppi sociali di oggi qualcosa di gia deteriorato ed ancora in rapida evoluzione negativa. Allo stesso tempo tuttavia, la trattazione svolta evidenzia che, se sappiamo rivedere, riconoscere e rimettere in gioco cio che e intrinsecamente ed essenzialmente umano fin dal momento in cui siamo concepiti, se sappiamo cogliere alcuni segnali deboli che anche le nuove generazioni producono e se sappiamo leggere tra le righe di alcuni eventi e comportamenti di oggi, troviamo tracce e premesse di possibili “futuri” meno catastrofici o addirittura promettenti.

Vediamo sinteticamente alcuni di questi segnali.

Facendo riferimento alla mia esperienza professionale di psicoterapeuta e ai continui confronti con i colleghi dell’Istituto di Psicologia Individuale “A. Adler”, posso testimoniare che e sempre piu frequente la richiesta di consulenza da parte di genitori, che si mettono autenticamente in gioco per rivedere e provare a modificare non solo il loro modo di educare, ma anche il loro modo di “stare” nelle relazioni familiari. Questo, certo, evidenzia una fragilita presente, ma anche una volonta e un impegno a lavorare su di se. Assistiamo anche, negli ultimi anni, ad un aumento significativo della richiesta di consulenze, incontri, conferenze, corsi sui temi della relazione educativa e, in particolare, delle regole e dei limiti, da parte di scuole, associazioni di genitori, enti di formazione. E vero che queste richieste sono dettate in prima battuta dalla difficolta in cui si trovano i genitori e gli insegnanti alle prese con bambini ingestibili, ma contemporaneamente e senza dubbio aumentata la consapevolezza che gli stili educativi permissivi e vizianti risultano fallimentari ed ostacolano la crescita individuale e sociale, con una serie di conseguenze sul modo di vivere le relazioni e i legami di cui abbiamo parlato. Vediamo anche, lavorando nelle scuole, che, accanto alla “medicalizzazione” e “classificazione” a cui si accennava prima, si stanno sviluppando tutta una serie di iniziative e buone prassi orientate a curare la relazione tra insegnante e allievo e a favorire la socializzazione, la cooperazione, la solidarieta, lo spirito di gruppo tra studenti, sia attraverso la costruzione di un ambiente favorevole, sia attraverso la proposta di attivita esperienziali orientate (in questo la psicologia e la filosofia applicata danno importanti contributi). E la nostra esperienza ci mostra che i ragazzi colgono, si lasciano sollecitare e “risuonano” perche riconoscono la profondita di tali esperienze.

Vi sono anche persone adulte che decidono di iniziare un percorso di psicoterapia, non solo per risolvere un disturbo o liberarsi da un sintomo, anche se spesso questa e l’urgenza iniziale, ma per interrogarsi e mettersi in discussione, avvertendo che lo stile di vita sviluppato, spesso malato dal punto di vista relazionale, deve essere messo sotto la lente di ingrandimento. Gli aspetti disarmonici di se che vanno consapevolizzati sono sempre, in qualche modo, legati alla propria storia di relazione e alle caratteristiche dei legami sperimentati. Allo stesso modo, il processo di guarigione non passa attraverso la riparazione o la sostituzione di un pezzo rotto o mancante, ma attraverso la rivisitazione e ridefinizione di se nel rapporto con gli altri.

Nei racconti delle persone che incontriamo per lavoro o nella vita privata, inoltre, sentiamo spesso il rifiorire del desiderio di “stare con”: dopo anni di tendenza alla dispersione e all’isolamento, vediamo ora spinte in contro- tendenza. Si moltiplicano i luoghi di ritrovo, magari meno naturali del cortile o della piazza di un tempo, ma “costruiti” nella forma di locali, feste, eventi culturali, manifestazioni che, tuttavia, a fianco del risvolto commerciale, denunciano un desiderio di relazione, di condivisione, di appartenenza (pur dovendo fare opportuni distinguo situazione per situazione). Allo stesso modo, il fiorire delle associazioni, delle organizzazioni di volontariato, delle iniziative umanitarie evidenziano questa tendenza (Guidi, Fonovic & Cappadozzi 2017). Se poi guardiamo al mondo giovanile, possiamo senza dubbio scorgere, tra le righe di fenomeni e comportamenti emergenti, segnali deboli ma significativi di riattivazione sul versante relazionale, che denunciano un bisogno ed un rifiorire dei legami. Da una recente ricerca del nostro Istituto sull’utilizzo della rete internet e dei social network da parte degli adolescenti e la ricaduta sul loro comportamento relazionale (Lerda & Lo Sapio 2014) si e evidenziato che, nonostante le “distorsioni” che tali strumenti introducono, continua a confermarsi un intimo bisogno di relazione e di legame, che va riconosciuto e coltivato.

I ragazzi di oggi, pur nelle loro contraddizioni, con il loro linguaggio e subendo le influenze del nostro tempo, continuano a dimostrare lo stesso bisogno, la stessa tensione di fondo. Nella maggior parte dei casi, nonostante si muovano sul terreno instabile e liquido della nostra cultura e dei nostri stili di vita, nonostante facciano esperienze relazionali discontinue o frammentate, nonostante si facciano interpreti di modalita superficiali, anonime o narcisistiche di relazione (di fatto piu semplici e di piu facile consumo), opportunamente interpellati e sollecitati, ancora esprimono il bisogno di una presenza, di relazioni reali e concrete, di costruire e mantenere legami solidi, di mettersi in gioco personalmente ed emotivamente nelle relazioni e di sentire che l’altro fa lo stesso con loro, il bisogno di continuita, stabilita, sicurezza, reciprocita.
Sta a ciascuno di noi recuperare questa consapevolezza e favorire cio che e presente ed essenziale in noi, non perche e bene fare così, perche “stare con gli altri” e mantenere legami e moralmente conveniente, ma perche noi siamo fatti così, e insito nella nostra natura, e se rinunciamo alle relazioni e ai legami, o se fuggiamo da essi, finiamo per ammalarci.
Come spesso ricorda L. G. Grandi nei suoi scritti e nei momenti di formazione, l’affermazione “io basto a me stesso” e espressione di malattia (Grandi 2016). Lo conferma anche la psicoanalista francese Ternynck, il cui celebre libro L’uomo di sabbia (2011) presenta come sottotitolo nella versione originale: “L’individualismo ci rende malati”. Pensare di bastare a se stessi vuol dire aver perso il contatto con la propria interiorita e con il nucleo essenziale di se e, allo stesso tempo, aver perso il contatto con la realta. Bastare a se stessi e un’illusione, da cui non puo che derivare insoddisfazione, malessere, solitudine, autodistruzione.
Consapevolizzare questo significa impegnarsi nella quotidianita ad “esserci” nelle relazioni con gli altri e a rivitalizzare quelle esperienze di sintonizzazione, attaccamento, fiducia, desiderio e cura, condizioni essenziali per una crescita sana ed una vita armonica.

7. Conclusioni

Il presente contributo, ripercorrendo le linee principali dei processi di sviluppo e delineando i bisogni evolutivi e le esperienze relazionali fondanti la costruzione della persona, non vuol essere soltanto una sintesi del pensiero di alcuni autori che si sono occupati di questi temi in ambito psicologico, ma si propone di evidenziare aspetti fondamentali della vita dell’uomo contemporaneo su cui orientare la nostra attenzione, le nostre riflessioni e, infine, il nostro impegno. La finalita e quella di contribuire ad alimentare una cultura e una prassi che rilancino un approccio sano alle relazioni e sostengano la possibilita di costruire ed esperire ancora legami “capaci di futuro”.

Il riconoscere i condizionamenti della cultura post-moderna sulle esperienze basilari dell’attaccamento, della fiducia, del desiderio e della cura, significa acquisire strumenti di lettura critica circa i comportamenti sociali e gli atteggiamenti educativi che stanno producendo mutamenti strutturali nel funzionamento psicologico dell’uomo, con ricadute sul modo di vivere le relazioni e costruire i legami, spesso penalizzanti dal punto di vista di un armonico sviluppo individuale e di una sana realizzazione all’interno della comunita in cui viviamo.

L’ipotesi centrale di questo lavoro e che, a fronte degli stimoli esterni da cui siamo costantemente sollecitati e dei nuovi bisogni indotti ed operanti in noi consapevolmente ed inconsapevolmente, si possa lavorare a livello educativo e formativo per non perdere di vista quelli che sono i presupposti essenziali ed irrinunciabili di un percorso armonico di crescita.

Si tratta di promuovere e sostenere riflessioni ed azioni concrete che permettano di riprendere contatto e dare spazio a quei sani bisogni di relazione evidenziati nella trattazione precedente, la cui realizzazione e indispensabile non solo per il soggetto in crescita, ma anche per l’individuo adulto che intenda accedere ad un percorso di vita rispondente alle sue istanze piu profonde, connotate da bisogni di condivisione, intimita e generativita.

La consapevolezza circa le conseguenze negative delle dinamiche narcisistiche, dell’instabilita dei legami familiari, della presenza intermittente dei genitori, della prevalenza del “fare” sullo “stare” nei percorsi di sviluppo (per citare alcuni degli aspetti trattati nei paragrafi precedenti) sollecita a porre attenzioni particolari nei confronti dei soggetti in crescita, al fine di rinforzare quelle esperienze che garantiscano la costruzione di legami di attaccamento caratterizzati da continuita, solidita, stabilita, reciprocita, fiducia. Tali esperienze costituiscono condizioni essenziali affinche il futuro adulto sia dotato della struttura psichica e degli strumenti necessari per costruire, sostenere e mantenere a sua volta relazioni e legami affettivi, indispensabili per il suo benessere. Sviluppare questa consapevolezza e agire per creare condizioni che facilitino la costruzione e la sperimentazione di relazioni educative sane, puo costituire anche per l’adulto di oggi uno stimolo per la propria vita, una motivazione ed un impegno a ritrovare dentro di se i bisogni e le spinte vitali fondamentali, che necessitano di essere espresse, alimentate, condivise.

La precarieta, l’insicurezza, la carenza di autorevolezza, la viziatura, l’indebolimento degli atteggiamenti di cura “particolare” (per citare altri aspetti affrontati in questo scritto) che permeano gli atteggiamenti e le pratiche educative odierne, devono essere portati a consapevolezza e problematizzati, al fine di stimolare processi di cambiamento attraverso opportuni interventi formativi. Riscoprire, ad esempio, il valore e l’utilita dei limiti e delle regole, pur tenendo conto della complessita e varieta degli attuali contesti, oppure coltivare un approccio alla persona che non isoli le parti e potenzi le prestazioni, ma si prenda cura della globalita e della specificita del soggetto inserito nella comunita, sono esempi di azioni educative e formative che agiscono contro tendenza (di cui vediamo gia importanti segnali oggi) e che risultano piu che mai potenti nei processi di accompagnamento alla crescita perche non rimangono sul piano astratto della teoria o dello slogan, ma si sviluppano nel concreto dell’esperienza relazionale (che diviene così, nel contempo, oggetto e strumento degli interventi stessi), rispondendo ai bisogni piu profondi dell’uomo e riattivando quel potenziale creativo che permette di guardare con speranza al domani.
In estrema sintesi di tratta di riconoscere, per poter rilanciare e coltivare, l’essenzialita e la potenza degli affetti e dei legami, ingredienti fondamentali ed irrinunciabili nella progettazione di una qualsiasi idea di futuro umanamente sostenibile. Estrapolando le parole del personaggio Titta di Girolamo nel film di Sorrentino.

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